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IL PICCOLO DIAVOLO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 novembre 1988
 
di Roberto Benigni, con Roberto Benigni, Walter Matthau, Nicoletta Braschi (Italia, 1988)
 
Walter Matthau in un'immagine del '96
"C'era una volta un piccolo diavolo. Imperversava, straordinariamente strafottente, sui palcoscenici e sugli schermi non solo televisivi. Bertolucci l'aveva catturato, per un istante, in LA LUNA; Sergio Citti in IL MINESTRONE, e Ferreri in CHIEDO ASILO. Due volte, in TU MI TURBI e NON CI RESTA CHE PIANGERE con Troisi, si era pure lasciato adescare dalla grande tentazione, quella di mettere in scena sé stesso.

Ma il bello doveva ancora venire. Nelle vesti, stracciate ma di lusso, di un regista impegnato: quando ci dissero che Roberto Benigni partiva in America, per interpretare un ruolo da protagonista nell'universo underground di Jim Jarmush, fummo in tanti a scommettere. Che il nostro inimitabile diavoletto finisse stritolato (come tanti attori europei, inutile farne l'elenco) dal sistema che una volta si chiamava hollywoodiano.

Sorpresa . Non solo Benigni riusciva ad inserirsi nel mondo dei perdenti di Jarmush: ma addirittura faceva suo il film. La poetica, perché non chiamarla così, del diavoletto impregnava DOWN BY LAW dal primo fotogramma nel quale egli appariva (oltretutto di schiena...); si fondeva alla musica insolita di Tom Waits, alla presenza strampalata di John Lurie, alla luce del fotografo di Wenders, Robby Muller.

La riuscita di DOWN BY LAW è straordinaria: poiché è come se Bob Hope fosse riuscito a far funzionare un film di De Sica. O Woody Allen ad inserirsi nell'universo di Marguerite Duras.

Al momento di progettare questo IL PICCOLO DIAVOLO, Benigni si deve esser detto: se ha funzionato nel senso Europa-America, l'operazione deve anche tornare a rovescio. Ha fatto venire dagli Stati Uniti un grande attore della commedia americana, Walter Matthau, ha mantenuto in squadra John Lurie e Robby Muller, si è saggiamente appoggiato a Giuseppe Bertolucci per la sceneggiatura, ha messo in scena il film. E il tutto non ha funzionato.

Che IL PICCOLO DIAVOLO tenti di ricalcare i fasti della grande commedia tradizionale non è soltanto per la scelta degli ingredienti. Ma, soprattutto, per l'ambizione del menu. Come nei capolavori di Capra, di Hawks o di Lubitsch la tentazione non è soltanto di far ridere: ma di significare (simbolicamente, fantasticamente, misticamente) ogni risvolto del racconto. Così gli aranci di Taormina dovrebbero suggerire i frutti proibiti del paradiso terrestre, la partita al chemin de fer l'ultima sfida alla Morte, ed il prete innamorato di Matthau (forse, perché è veramente la cosa più disastratamente incomprensibile del film) la rivisitazione del mito di Faust.

Perché no, mi direte. Ma per trascendere la farsa, per agguantare la poesia (quella lunare, che così bene riesce a Benigni) occorre una disciplina di ferro. Ed è proprio ciò che manca: in IL PICCOLO DIAVOLO si sorride di spesso, si ride già di meno e non si riflette per niente.

Tutto è approssimativo: dal taglio della sceneggiatura a quello del montaggio, dal tono della fotografia a quello della recitazione, dalle scelte dei personaggi a quello delle situazioni.

Rimane la presenza di Benigni: ma anche quella, nella giostra delle ambizioni mancate, è cento volte più sfuocata che in una presentazione con Baudo."


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